15-0.
Non è l’inizio di un game in una partita di tennis, una situazione assolutamente rimediabile con il colpo successivo. E’ il rapporto tra i dazi per le imprese europee che esportano negli USA e quelle americane che esportano in Europa.
Se a questo sommiamo la svalutazione del dollaro rispetto all’euro di questi mesi, il danno per le nostre imprese è ancora superiore, lo è per il sistema Paese, che vive di export.
Semplificando moltissimo il problema, la bottiglia di vino siciliano dal 1° agosto costerà negli USA tra il 25 ed il 30% in più: quanti rinunceranno alla nostra qualità in favore del meno pregiato, ma a quel punto più economico vino californiano?
E l’Europa non ha soltanto accettato questa imposizione da parte del bullo Trump, in nome di una presunta “stabilità in questi tempi incerti”, come ha detto la von der Leyen. Ha anche subito l’obbligo ad acquistare 750 miliardi di dollari di gas e a investire 600 miliardi negli Stati Uniti.
Non è un accordo. E’ una capitolazione. L’Europa ha riconosciuto tutta la sua impotenza. Dopo la disfatta sul fronte NATO, con l’imposizione delle spese militari al 5% e la rinuncia alla web tax, unica vera contromisura ai dazi insieme ad eventuali ritorsioni sull’aviazione civile.
L’Europa continua a pagare le sue divisioni, continua ad essere un nano politico, si riduce a colonia degli USA. E l’Italia meloniana, capofila della linea morbida con Trump (naturalmente inefficace contro il campione mondiale dei bulli), contribuisce ad affossarla. Cosa dirà adesso Giorgetti che considerava il 10% una soglia invalicabile?
Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.
Duole anche solo pensarlo, ma c’è da sperare che le conseguenze negative di questa disfatta si vedano presto sul piano economico. In modo che finisca questa ubriacatura collettiva per Meloni, e gli italiani aprano gli occhi.