Era già tutto previsto, purtroppo.
Non è solo il fatto giudiziario prima e politico poi — o viceversa — che riguarda la mia terra, la cultura e le istituzioni a doverci far saltare dalle sedie. È qualcosa di più profondo, che ci toglie quasi la speranza, quell’orizzonte di cui parla Eduardo Galeano.
E, purtroppo, non è soltanto una questione siciliana. È una questione nazionale. Un fatto sistemico. Organizzato.
Pensiamo un attimo alla recente vicenda del fondo nazionale per lo spettacolo dal vivo. Oltre al fatto che dal nuovo bando la Sicilia ne esce devastata , vi è il dato macroscopico che a essere colpito è tutto un mondo — quello del piccolo teatro innovativo, indipendente — che da anni, tra mille difficoltà, prova a tenere viva un’altra visione delle cose.
Talmente è evidente la direzione intrapresa, che a seguito del declassamento del teatro di Firenze guidato da Stefano Massini, il 19 giugno si sono dimessi tre dei sette membri della Commissione: Alberto Cassani, Carmelo Grassi e Angelo Pastore. Le dimissioni, come ha spiegato lo stesso Pastore — figura di lunga esperienza, dallo Stabile di Torino al Centro Teatrale Bresciano, fino allo Stabile di Genova — non sono legate solo al “caso Firenze”.
Sarò ripetitiva, ma è un fatto sistemico.
Esclusi a Palermo sono Teatro Bastardo, Agricantus, Conformazioni, Atlante, il Piccolo teatro Patafisico, Suttascupa, Kelis/Aedi, Pangea. Molti di questi festival sono presidi culturali attivi da decenni, non semplici iniziative occasionali.
Una scure si abbatte sul mondo dei festival italiani. Sulla cultura in genere. Ed è un fatto voluto.
Lo spiega bene Salvatore Papa nel suo articolo “Il colpo di grazia all’indipendenza della cultura. L’unica egemonia è sempre stata quella del mercato”. A giudicare dai criteri adottati dal Fondo per il triennio 2025–2027 del Ministero della Cultura presieduto da Giuli, è chiaro: si premia il mercato, si penalizza l’innovazione, si taglia l’indipendenza.
Il risultato? 29 festival storici esclusi dal fondo e un drastico abbassamento dei punteggi di Qualità Artistica per molte realtà ritenute fino a ieri eccellenze .
Aveva ragione il drammaturgo Antonio Rezza quando diceva “Lo Stato ha imbavagliato la cultura con il denaro e adesso non la riconosce”
E poi c’è il danno economico. Secondo le stime delle associazioni coinvolte, l’esclusione e la riduzione dei fondi potrebbe significare la perdita di 30.000–50.000 giornate lavorative nel solo 2025. Senza contare l’indotto generato nei territori da questi festival: ospitalità, ristorazione, fornitori, trasporti.
Forse non ci indigniamo più. Forse non ci sorprendiamo nemmeno.
Del resto, la Sicilia è l’unica Regione d’Italia a non avere finanziamenti trasparenti per la cultura.
Oppure, più semplicemente, abbiamo toccato il fondo. E proprio da lì che comincerà la risalita. Perché davanti a questo scenario non possiamo che rispondere con una scelta radicale e pronti a fare il necessario.
Professionista con consolidata esperienza nel settore pubblico e istituzionale, ho ricoperto incarichi di responsabilità in diversi Ministeri, enti locali e gruppi parlamentari, sviluppando competenze avanzate in relazioni istituzionali, consulenza giuridica e coordinamento amministrativo. Laureata con lode in Giurisprudenza, ho arricchito la mia formazione con un master internazionale in diritto e un executive course alla Luiss School of Government.
L’unica visione è l’occupazione indiscriminata delle postazioni. Tutte. In ogni ambito. Quello della cultura in particolare è molto ambito perché crea l’immagine e orienta scelte e comportamenti.