Di fronte ai dati implacabili dell’Irpef, che collocano cinque province siciliane tra le ultime dieci per reddito medio in Italia, arriva puntuale la solita spiegazione: “È colpa dell’evasione, del lavoro nero”. Lo ha detto anche Paolo Zabeo della Cgia, come se bastasse evocare l’ombra dell’irregolarità fiscale per archiviare il problema.
Ma la verità è che i tassi di evasione fiscale sono simili in tutte le regioni d’Italia. Dire che al Sud si evade di più è un modo elegante per minimizzare le disuguaglianze strutturali: salari più bassi, meno investimenti pubblici e privati, infrastrutture carenti, servizi sottofinanziati. Così, invece di parlare di una strategia di sviluppo, di politiche fiscali mirate e di crescita economica, si finisce per colpevolizzare il cittadino meridionale.
È la solita favola: se il Sud è povero, la colpa è dei meridionali. Una narrativa comoda che evita di affrontare il nodo vero: l’Italia è un Paese spaccato in due e continua a esserlo perché chi governa non ha il coraggio di ridurre il divario.
Come scrivo nelLa rana bollita, il Sud viene riscaldato lentamente, con promesse e accuse, fino a rimanere immobile. E mentre si discute di evasione, intere aree del Mezzogiorno sprofondano in una povertà silenziosa che allontana giovani, investitori e prospettive di futuro.
Se non si cambia narrazione, non cambierà nemmeno la realtà.