C’è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui l’Unione Europea discuteva con fermezza e dignità su come rispondere alla guerra commerciale scatenata dagli Stati Uniti. Dazi, tasse, protezionismo: la Casa Bianca tornava all’unilateralismo trumpiano e Bruxelles cercava di difendere il mercato comune, i propri produttori, la sovranità economica. O almeno, ci provava.
Ma ogni tentativo di risposta veniva puntualmente disinnescato da una voce: quella di Giorgia Meloni che ha scelto, fin dall’inizio, di scommettere tutto sull’asse con Donald Trump. Di farsi “pontiera”, come ama definirsi, tra le due sponde dell’Atlantico. Un ruolo che le ha imposto silenzi, retromarce e rinunce su molte delle battaglie che l’avevano accompagnata nell’opposizione: prima fra tutte, la tassazione delle grandi piattaforme digitali americane, le cosiddette “big tech”.
L’idea era semplice: tenere aperti i canali con Washington, anche al prezzo di perdere qualcosa in Europa. O meglio: anche al prezzo di far perdere qualcosa agli europei.
Abbiamo accettato una tassa del 15% sulle imprese europee che esportano negli Stati Uniti. Una batosta da 23 miliardi di euro l’anno. Abbiamo firmato impegni vincolanti per acquistare 750 miliardi di dollari in gas americano, rinunciando di fatto a qualunque strategia energetica autonoma e per investirne altri 600 sul suolo statunitense. E ci siamo piegati a una trattativa: partiti con la richiesta americana di aumentare la spesa militare al 5% del PIL, siamo arrivati alla cancellazione della web tax, cioè all’abbandono di un principio di giustizia fiscale che avrebbe riequilibrato il rapporto con i colossi digitali d’Oltreoceano.
In tutto questo, l’Europa non ha parlato con una sola voce. Ursula von der Leyen ha mostrato i suoi limiti e oggi paga un isolamento crescente. Ma sarebbe troppo comodo, per i sovranisti nostrani, scaricare tutto su di lei. La verità è che l’Italia ha giocato un ruolo determinante nella resa europea. E che la principale promotrice di questo allineamento totale agli Stati Uniti ha nome e cognome: Giorgia Meloni, celebrata pochi giorni fa sulla copertina del “Time” come una delle leader più influenti del momento.
Ma la domanda che oggi dovremmo farci è semplice e scomoda: questa fedeltà a senso unico porterà benefici concreti al nostro Paese o ci sta solo condannando a un ruolo marginale, subalterno, privo di voce e di visione?
Nel nome dell’atlantismo, stiamo svendendo la nostra autonomia. E nel silenzio complice di molti, stiamo abituandoci a chiamarla “strategia”.

Giorgio Trizzino
Giorgio Trizzino medico. È stato Direttore Sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Palermo. Deputato della XVIII Legislatura. Ha fondato la Samot che eroga cure palliative domiciliari.
I governanti dei paesi UE sembra non si rendano conto che seguitando a farli ri manere politicamente, economicamente, e militarmente divisi, faranno fare loro e presto la fine dei vasi di coccio tra quelli di ferro. É azzardato definirli nani politici?