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EMIGRAZIONE GIOVANILE DALLA SICILIA: UN BRAIN DRAIN INSOSTENIBILE

I dati sull’emigrazione dalla Sicilia negli ultimi decenni sono semplicemente spaventosi. Nonostante i grandi investimenti dell’Unione Europea, l’Isola continua a soffrire di una mancanza di opportunità per le nuove generazioni. 

Il problema è antico, ma rimane e diventa sempre più grave. L’ISTAT rileva che nel 2024 c’è stato un vero e proprio boom dell’emigrazione italiana verso l’estero e qui la Sicilia è nei primi posti in termini di dissanguamento delle risorse umane in età lavorativa. I siciliani residenti all’estero sono arrivati a oltre 825mila nel 2024, cioè il 17% rispetto alla popolazione residente in Sicilia.  Solo nel 2024 dalla Sicilia sono ufficialmente emigrate all’estero 7651 persone, cioè l’8,6% di tutti gli italiani emigrati all’estero nello stesso anno.

Ma ancora più preoccupante è l’andamento dell’emigrazione interna all’Italia e alle singole regioni. I meridionali continuano a emigrare verso il settentrione d’Italia oltre che all’estero. E all’interno delle singole regioni, c’è anche una emigrazione locale che sta spopolando le aree interne a favore dei comuni costieri.

Le regioni che pagano di più in termini di emigrazione verso le regioni settentrionali sono la Calabria, la Basilicata e la Sicilia. A questa va aggiunta una emigrazione dall’interno verso la costa che riduce sempre più la disponibilità di risorse umane nelle aree montane, soprattutto la forza lavoro più giovane e con più istruzione e formazione.

Ciò contribuisce a un crescente squilibrio tra popolazione in età attiva e non attiva che si è aggravato in maniera preoccupante per tutte le regioni italiane nell’ultimo ventennio (2005-2025). Su questo piano la Sicilia gode ancora di una situazione meno drammatica di regioni che patiscono un maggiore isolamento (Sardegna e Val d’Aosta) o altre peculiarità demografiche e geografiche (PiEmonte, Puglia o Friuli VG). Ma il problema principale per la Sicilia è che, nonostante una maggiore fertilità e il contributo dell’immigrazione da altri paesi, il trend ventennale ha portato comunque la popolazione attiva a diminuire nel complesso. Dato ancora più preoccupante, è la popolazione più istruita a lasciare l’Isola per andare a contribuire in maniera sostanziale al PIL delle regioni più economicamente sviluppate del resto d’Italia o di altri paesi.

Si tratta di un brain-drain insostenibile che indica un futuro ancora più difficile per lo sviluppo economico e sociale dell’Isola, mantenendo il circolo vizioso della mancanza di attrattività sia per le migliori risorse umane che per le imprese. La Sicilia è meno attrattiva per cui le migliori risorse vanno via, rendendola ancora meno attrattiva nel tempo rispetto ad altre regioni europee.

Finora le politiche europee e nazionali sono riuscite solo a rallentare il brain drain dalla Sicilia. È dunque evidente che la Regione Siciliana, insieme ai partner nazionali ed europei, dovrebbe proporre un organico piano d’azione a medio e lungo termine di ben altra portata rispetto alle misure precedenti. Questo piano, al di là delle misure di sostegno lente, limitate e non organiche come “Torno al Sud”, dovrebbe contenere azioni che facilitino l’attrattività a investire e lavorare in Sicilia. Misure che comprendano tutti i fattori che portano allo sviluppo economico e sociale. 

Le misure finora adottate riguardano spesso gli investimenti infrastrutturali e il sostegno finanziario agli investimenti. Ma i primi sono ancora lontani dal rendere la Sicilia competitiva rispetto alla propria posizione geografica lontana dal core d’Europa, e i secondi si sono rivelati insufficienti e persino distorsivi del mercato. Andrebbe invece programmato un grande piano che ponga al centro l’attrazione di investimenti privati che moltiplichino le opportunità del vantaggio competitivo della Sicilia nei settori che mostrano queste potenzialità

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 Master in Public Policy and Planning alla facoltà d’economia della Northeastern University di Boston, USA (1993), Gabriele Bonafede è dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale (1994). Nel 1996 si è specializzato in Regional Studies in Developing Countries al MIT di Cambridge (USA). Dal 1992 lavora quale economista nell’ambito della cooperazione internazionale, principalmente per progetti e programmi di sviluppo finanziati da UE, GIZ, ADB, EBRD, EEA, SDC e altri donors internazionali.

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