Prima Standard & Poor’s, ora Moody’s. Le agenzie di rating promuovono l‘Italia. I nostri conti pubblici non preoccupano. Il governo esulta. Le opposizioni ribattono. E il gioco a tamburello tra l’uno e le altre continua.
ll discorso è complesso. Non semplice da descrivere. Forse indescrivibile. Il governo ha le sue ragioni, ma le opposizioni non hanno torto. Ha ragione perché, in un contesto mondiale difficile, con due guerre in corso e forti scosse nel commercio legati alla guerra dei dazi aperta da Trump, l’economia cresce, poco, ma cresce. L’occupazione continua a salire. Anche i salari vedono un po’ di respiro.
Però le opposizioni non hanno torto. Restiamo il paese in cui si lavora meno. L’OCSE, ancora nel 2024, colloca l’Italia tra i paesi peggiori in base al lavoro, al terzultimo posto. Siamo ancora un paese duale, dove il Mezzogiorno arranca. Il suo PIL pro-capite è indecentemente inferiore. Regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto registrano valori quasi doppi rispetto a Calabria o Sicilia.
Insomma, non siamo nel migliore dei mondi possibili.
La fiducia si riduce. Lentamente si sgrana. I cittadini disertano le urne. Si allontanano dai partiti, sempre più “macchine di potere e di clientela” come denunciava Enrico Berlinguer nel lontano ’81. I giovani fuggono all’estero. Non credono nel futuro. Si sposano meno e fanno meno figli. Sarebbe necessario un colpo d’ala, una seria politica di riforme.
Ma il governo dice e non fa. Si è fermi alle promesse. Si naviga, ma non si va in porto. Non con la Giustizia, non con le istituzioni perché l’elezione diretta del premier si è impantanata. La sanità langue nei suoi orrori, con liste di attesa lunghissime e non si sfiora minimamente l’idea che non servono solo più soldi, ma gestioni diverse che consentano maggiore efficienza e competenza dei suoi operatori. Promettono salari più alti ma ancora nessuno mette mano a riforme che favoriscano l’aumento delle produttività nelle imprese e fuori. È questo il quadro.
Siamo un paese che galleggia in un mare ondoso. Finora la barra è rimasta dritta, il che è un bene. Ma non sappiamo in che misura potrà fronteggiare le forti tempeste che rovesci geopolitici tutt’altro che improbabili potranno comportare.
C’è poi un paradosso evidente che favorisce la stabilità e la forza di questo governo: una opposizione che lo favorisce. Nessun politologo di peso lo nega. I partiti della coalizione che sostiene Giorgia Meloni litigano fra loro, ma sanno unirsi per garantire all’Esecutivo la possibilità’ di decidere in situazioni difficili.
I partiti dell’opposizione sono uniti nella contestazione del governo, ma non riescono a proporre programmi alternativi perché troppo diversi fra loro per raggiungere intese di programma. Deve pur dire qualcosa l’invito a rimuovere mediante referendum leggi sul lavoro approvate da governi fatti da loro.
Questo mi sembra lo stato delle cose. Il governo galleggia ma il paese arranca. È un bel vivere? L’ Italia per ora continua a rispondere si. Fino a quando?

Giovanni Pepi
Giovanni Pepi è giornalista e fotografo. Da giornalista ha ha diretto per 34 anni il Giornale di Sicilia come Condirettore responsabile con Antonio Ardizzone, direttore ed editore. E’ stato i fondatori di Tgs, di Rgs e del sito gds.it. Come fotografo ha esposto, tra l’altro, al Vittoriano di Roma, al Loggiato di San Bartolomeo di Palermo, all’ex convento dei Filippini di Agrigento. L’Assemblea Regionale Siciliana gli ha dedicato una mostra antologica. Ha creato e gestisce SE E’ COSI’, blog di politica e fotografia (https://www.giovannipepi.it/)