Stanno rientrando, per poco tempo, 15-20 giorni, poi, di nuovo via.
Sono decine di migliaia, forse centinaia di migliaia, i nostri giovani emigrati che in questi giorni d’estate affollano gli aeroporti e le stazioni siciliane per rivedere casa, parenti e amici, i pochi che sono rimasti.
Sono visibili solo alle statistiche, che raccontano di decine di migliaia di giovani che ogni anno lasciano l’isola, completamente assenti dal dibattito politico, molti di loro non hanno più neanche la residenza in Sicilia; difficile che tornino, con quale ambizione, poi?
Per alcuni, sono dei privilegiati, che seguono una “moda”, che un giorno si pentiranno perché, in fondo, qui si vive bene, la vita costa meno che altrove e la Sicilia, si sa, è il posto più bello del mondo. Vuoi mettere Palermo, Catania, Agrigento con Londra, Bruxelles, Milano, Roma?
Molti di loro sono andati via a 18 anni. Hanno studiato altrove. Le statistiche parlano delle Università di Pisa, Bologna, Milano, Torino, Roma come mete preferite. Università e politecnici statali, ma anche Bocconi, Luiss, Iulm. Laurea magistrale, a volte il dottorato.
Cosa cercano o da dove fuggono questi ragazzi? Perché questa perdita enorme di valore – se preferite, di capitale umano – e di futuro non è al primo posto nell’agenda di questo nostro sciagurato Paese, per non dire della Regione o di quel simulacro che ne rimane?
La loro parola d’ordine è “applicare” che non è la ricerca del concorso pubblico, magari regionale, ma l’idea di entrare in un mondo di lavoro competitivo, dove possano contare le competenze, che possa generare crescita, cambiamento, una dinamica personale che è del tutto differente da quella che per generazioni è stata la nostra.
Famiglia, figli, sono orizzonti lontani. Non è una vita semplice, tutt’altro. Ma quale sarebbe, in Sicilia, il tessuto di imprese e di società capace di accogliere e garantire una crescita professionale adeguata a ragazzi che hanno, molto spesso, una formazione eccellente, se non addirittura eccezionale? Quali quelle capaci di garantire stipendi e crescita professionale in linea con la loro legittima aspirazione di crescere professionalmente, economicamente, socialmente?
Hanno occhi per vedere questo mondo regionale ubriacato e distrutto da una perversa occupazione che la politica ha fatto di ogni spazio professionale, nel pubblico come nel privato. Ho visto nei loro volti la smorfia di disgusto per i soldi non spesi, per i magheggi osceni e i patetici, per la ricerca anche dei più piccoli e penosi privilegi, al netto dei reati, della nostra classe politica.
Il sistema del finanziamento pubblico utilizzato come strumento di crescita di consenso “politico” (sarebbe meglio dire clientelare) se non, addirittura per l’arricchimento di gruppi familiari. A chi interessa questa enorme emorragia di competenza alla quale assistiamo senza fare nulla?
No, non dirò che sono i migliori ad andarsene. Forse i più curiosi, sì, ma chi ha scelto di rimanere e ha potuto farlo, sta anche lei o lui affrontando una sfida difficile. Perché la verità è che il tessuto è compromesso, che la classe politica siciliana è vecchia, nelle persone, nei modi, nello stile, nelle ambizioni. Ed è vecchia anche nei più giovani, basta guardare a quello che accade ai massimi vertici dell’Assemblea Regionale.
Di cosa stiamo pagando il prezzo, come società, come famiglie, come giovani, costretti ad emigrare? Una possibile risposta, che è sotto gli occhi di tutti, è nei mancati investimenti cha al sud, in Sicilia, in particolare, ha fatto il mondo delle imprese. Le ragioni? Ci siamo dimenticati le battaglie per la sicurezza delle imprese? Il pizzo, ma non solo quello. Il controllo degli appalti. Sarà un caso se per alcuni dei grandi delitti di mafia, da Piersanti Mattarella a Paolo Borsellino, si parla ancora di “pista” degli appalti?
Si, il deserto di imprese e il controllo del territorio da parte della malversazione politica, non solo della mafia, sono il male assoluto. Leggere frasi come “così controlliamo il territorio” detta da chi doveva essere semplicemente il portavoce del più nobile dei ruoli a cui un parlamentare sogna di avere accesso, il Presidente del più antico Parlamento del Mondo, è tanto ignobile quanto gravissimo politicamente, eticamente, moralmente, prima ancora che sotto il profilo giudiziario, come lo è considerarsi al servizio di un partito piuttosto che di un Parlamento.
Come lo è la spartizione scientifica dei contributi tra deputati a vantaggio dei singoli collegi elettorali. Leggono parole come “utilità”, “incarichi”, scoprono che eventi che dovrebbero portare prestigio, lavoro, reputazione sono utilizzati solo per meschini interessi di bottega. Gli aspetti più nobili di una società civile, il mondo della cultura, la stessa beneficienza, diventano torbide paludi di un sistema politico senza più dignità, senza senso del proprio ruolo.
Controllare il territorio è un dogma della mafia, quello della politica dovrebbe essere, un tempo è stato, servire il territorio. Si, perché c’è stata una classe politica che ha vissuto il ruolo come servizio, non come controllo e noi vogliamo che ci sia ancora e ancora. Perché se questo non dovesse avvenire, l’emigrazione rimarrebbe l’unica speranza di una vita normale, con ambizioni normali, con l’idea di una normale crescita professionale, che non sia legata alla clientela, alla ramificazione dei contatti familiari, al nepotismo.
I nostri giovani emigrano, in Italia, in Europa, in Svizzera, nel Regno Unito, in Germania, Olanda, ovunque e spesso con grande successo. Ma a loro, come mi disse un giorno un collega “piace viaggiare”!!! A noi, non può bastare solo andare in aeroporto a salutarli e aspettare che tornino, la prossima estate e a Natale; a noi spetta i l dovere di fare il possibile e l’impossibile perché l’emorragia si fermi. Lo dobbiamo a loro, a chi è andato via a chi vorrebbe tornare e, magari, restare, senza che questo significhi il sacrificio dei propri sogni e delle proprie ambizioni.

Paolo Inglese
Professore ordinario di Coltivazioni Arboree. Delegato per le attività di valorizzazione dei beni culturali, storici, monumentali e del brand dell'Università di Palermo. Per anni, Direttore del Sistema Museale di Ateneo.