Nel 2014, il governo Renzi introdusse un tetto agli stipendi dei super manager e degli alti burocrati dello Stato. Nessuno veniva spinto alla fame: il limite era fissato a 240 mila euro lordi, che significano, nella peggiore delle ipotesi, 120 mila euro netti l’anno. Ovvero diecimila euro al mese.
Eppure, la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima la natura transitoria di quella norma. Risultato: il tetto salta, e quegli stipendi tornano a salire fino al livello del primo presidente della Corte di Cassazione, cioè tra i 310 e i 330 mila euro annui.
Ora, non credo che i problemi del bilancio pubblico si risolvano con i circa 100 milioni di spesa aggiuntiva che ne deriveranno — questa è la stima. E non mi ritengo neanche un populista: al contrario, fatico a tollerare chi ha costruito la propria fortuna politica a colpi di demagogia anti-casta.
Ma due considerazioni vanno fatte.
La prima: mentre lo stipendio medio degli italiani, a causa delle politiche del governo Meloni, è crollato dell’8,5%, attestandosi tra i 1.100 e i 1.200 euro mensili, con il carrello della spesa, la benzina e il gas in costante aumento, è accettabile — o anche solo opportuno — che lo Stato torni a premiare chi già guadagna oltre ogni misura?
La seconda: dove sono finiti i paladini della “guerra ai privilegi”? I giornali anti-casta, i populisti da talk show e da Aula parlamentare? Silenzio assoluto.
Perché, evidentemente, la casta è un nemico comodo solo quando serve raccattare voti.

Giandomenico Lo Pizzo
Ingegnere, dipendente Sogesid, si occupa di gestione dei contratti per la realizzazione di fognature e impianti di depurazione, presidente di Italia Viva Provincia di Palermo e Consigliere comunale a Gangi