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IN SICILIA L’ORTO CORRE, MA CROLLANO TECNOLOGIE E FARMACEUTICO

Pubblichiamo l’intervista di Giovanni PEPI a Nino SALERNO, elemento di spicco di SICINDUSTRIA, apparsa sul Blog SE E’ COSI’ di GIOVANNI PEPI.

I dazi allarmano. Suscitano tante incertezze nel pianeta. E in Sicilia? Che succede nelle aziende dell’isola? Si vedono già i primi effetti? Ne parlo con Nino Salerno, delegato di Sicindustria all’internazionalizzazione. 

Le imprese siciliane sono in allerta, ma in maniera differente rispetto al resto d’Italia.

Differente perchè ?

Se guardiamo ai numeri, la Sicilia è paradossalmente “esente” dal problema: importiamo più di quanto esportiamo dagli Stati Uniti. Nel 2024 abbiamo esportato negli USA meno di un miliardo di euro (995 milioni, in calo del 21,2%), mentre ne abbiamo importati per oltre 1,28 miliardi. Il saldo è negativo per noi di circa 268 milioni. Quindi, dal punto di vista commerciale, siamo noi a comprare più “America”, non il contrario…

Tutto a posto allora ?

No. Quanto dico non significa che le imprese non sentano la tensione. Il clima di incertezza frena i contratti, allunga le trattative, scoraggia investimenti, in particolare per le PMI che stanno cercando di posizionarsi nei mercati più esigenti come quello statunitense”.

Mettendo in fila le nostre produzioni, quali sono quelle che esportano e di più risentono dei maggiori dazi?

Il settore agroalimentare, come sempre, è il più sensibile”.

Quali prodotti in particolare “

In particolare i vini e i liquori della Sicilia occidentale, che nel 2024 hanno esportato circa 20 milioni di euro negli USA, già in calo del 6,9%. Ma anche le conserve, gli agrumi trasformati e i prodotti bio risentono del contesto…”.

E poi? Quali settori sono esposti a maggior rischio “

A livello più generale, le nostre eccellenze legate al Made in Sicily, come cosmetica naturale, tecnologie agricole e produzioni artigianali evolute, sono quelle che rischiano di più perché hanno piccoli margini e operano in nicchie fortemente concorrenziali”.

Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, dice sulla Stampa che gli Stati Uniti restano il nostro secondo mercato dopo l’Europa: esportiamo verso di loro 65 miliardi di euro di prodotti con un saldo attivo di 39 miliardi…In che misura questo vale per la nostra isola?

Vale in termini di potenzialità, ma non nei numeri attuali. Gli Stati Uniti per la Sicilia rappresentano un mercato importante, ma non ancora centrale. La bilancia commerciale è chiaramente a nostro sfavore”.

Quindi meno interesse da noi per gli Usa ?

No. L’interesse delle aziende siciliane verso gli USA è fortissimo, perché si tratta di un mercato dove i prodotti di qualità vengono apprezzati e dove si può crescere. Il problema è che i costi di ingresso sono alti e ogni ostacolo , dai dazi alle incertezze , pesa doppio per chi non ha le spalle larghe”.

Dazi a parte, qual è lo stato delle cose della economia in Sicilia? Si cresce o no?

C’è una crescita a macchia di leopardo. Alcuni distretti vanno bene, come l’ortofrutta di Catania (+12,2%), altri reggono con fatica, come il vino e l’agroalimentare del sud-est”.

E quali sono i punti di crisi più che più preoccupano”

 “Preoccupa molto il crollo dei poli tecnologici di Catania: ICT -25,9% e farmaceutico -25,3%. Sono numeri pesanti che ci dicono quanto siamo ancora vulnerabili, soprattutto nei settori a più alto valore aggiunto. In media, il sistema imprenditoriale siciliano cresce, ma non abbastanza per fare sistema né per ridurre i divari strutturali”.

Si sono avuti investimenti significativi nell’isola da parte dei privati? Ci sono prospettive reali perché questo avvenga?

Sì, ci sono stati investimenti interessanti, soprattutto in rinnovabili, logistica e agritech. Ma la Sicilia resta un territorio ad alto potenziale e bassa conversione. Tempi lunghi per autorizzazioni, incertezza normativa, burocrazia. Se vogliamo attrarre capitali veri, dobbiamo diventare una regione dove “fare impresa” non sia un atto eroico”.

Avete rapporti buoni con il governo dell’isola? Possono maturare effetti positivi?

I rapporti sono buoni. Il presidente di Sicindustria, Luigi Rizzolo, ha instaurato un confronto costante e proficuo, ma è necessario uno scatto in avanti per creare le condizioni necessario allo sviluppo”.

Nell’intervista di cui parlavo sopra, Orsini chiede che l’industria deve stare al centro dell’agenda di governo. Questo mi pare valga anche per la Sicilia. Sta succedendo? 

Non direi. In Sicilia si parla tanto di turismo, di cultura, di agricoltura. Va bene. Ma senza una base industriale solida e innovativa, tutto il resto rischia di essere effimero. L’industria oggi è manifattura evoluta, economia circolare, internazionalizzazione, tecnologie. È lì che si fa valore. Se vogliamo trattenere i giovani e generare futuro, serve un’industria competitiva“.

Nota un corso nuovo della politica nazionale verso le aree del Sud in generale e della Sicilia in particolare?

Il Sud ha bisogno di una strategia, non di bonus a tempo. Il PNRR doveva essere una svolta: rischia di diventare una grande occasione sprecata. La Sicilia ha tutte le carte in regola per essere una piattaforma strategica nel Mediterraneo, ma serve una visione nazionale che non la guardi più come un’area da assistere, ma come un asset da sviluppare”.

GIOVANNI PEPI
Giovanni Pepi
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Giovanni Pepi è giornalista e fotografo. Da giornalista ha ha diretto per 34 anni il Giornale di Sicilia come Condirettore responsabile con Antonio Ardizzone, direttore ed editore. E’ stato i fondatori di Tgs, di Rgs e del sito gds.it. Come fotografo ha esposto, tra l’altro, al Vittoriano di Roma, al Loggiato di San Bartolomeo di Palermo, all’ex convento dei Filippini di Agrigento. L’Assemblea Regionale Siciliana gli ha dedicato una mostra antologica. Ha creato e gestisce SE E’ COSI’, blog di politica e fotografia (https://www.giovannipepi.it/)

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