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REFERENDUM: GLI ELETTORI NON CAPISCONO? NO, I PARTITI NON SPIEGANO

«La democrazia non è lo spettacolo di pochi, ma l’impegno di tutti.» Sandro Pertini

Se un popolo smette di partecipare, il sistema democratico entra in crisi. Questo è un dato di fatto. Quando la partecipazione si spegne, inizia il governo di pochi, per pochi. E così, con buona pace della democrazia e della libertà, ci si allontana da quello che dovrebbe essere il fondamento stesso della convivenza civile.

Eppure il voto non è un diritto antico: è una conquista recente. Dovremmo ricordarcelo, ogni volta che scegliamo di non esercitarlo.

Sul merito dei quesiti referendari – in particolare quelli sul lavoro – è evidente che il confronto sia stato fortemente politicizzato. I quesiti, più che aprire una riflessione sul presente e sul futuro del lavoro in Italia, hanno risvegliato battaglie del passato. E in questo, la CGIL porta una responsabilità enorme: quella di aver rotto un’unità storica, piegando il ruolo del sindacato a fini politici.

Certo, il Jobs Act è una riforma che può e deve essere migliorata. Ma ha avuto un merito storico: ha riconosciuto diritti a chi prima non ne aveva – lavoratori autonomi, precari, intermittenti. Allora la vera domanda è: perché non parliamo di cosa migliorare? Perché non discutiamo, ad esempio, di detassazione dei premi di produttività, di politiche attive del lavoro, di riduzione del carico fiscale su un ceto medio ormai scomparso, di aumento delle indennità in caso di licenziamento, di vera flessibilità, non precarietà.

Perché non apriamo un dibattito concreto, utile, orientato al futuro? Perché continuiamo a rifugiarci in slogan e contrapposizioni ideologiche?

Un’altra occasione persa. Alcuni, dopo il voto, hanno commentato: “Abbiamo vinto, hanno votato 15 milioni di persone”. Questi commenti sono, al tempo stesso, la causa e l’effetto della mancata partecipazione dei cittadini allo Stato democratico. Sono il sintomo della sfiducia crescente nelle istituzioni. Sono il riflesso di quell’autunno politico che le forze progressiste stanno vivendo in Italia e nel mondo.

No, non abbiamo vinto. Abbiamo perso. Non è la gente che non ci ha capiti. Siamo noi che non sappiamo più parlarle. Ne ignoriamo i problemi, le paure, i bisogni reali.

E poi c’è quel quinto quesito. Per me, mal scritto e parziale, sì.

Ma che portava dentro una visione chiara: dare un segnale per una cittadinanza più giusta, più aperta, più moderna. In un momento storico come questo, quell’occasione non si doveva sprecare.

Forse è il momento di chiederci su cosa vogliamo allearci. E’ ormai evidente che serve rafforzare la parte riformista della coalizione. Perché senza una componente riformista e progressista solida, non si vince. E non si ha futuro.

Serve quella parte che non ha paura di fare scelte coraggiose, anche impopolari. Quella parte che guarda avanti.

Quella parte che sa declinare la parola qualità: qualità del lavoro, qualità della sanità, qualità della scuola e della cultura, qualità delle istituzioni, qualità della vita.

Valentina Falletta
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Professionista con consolidata esperienza nel settore pubblico e istituzionale, ho ricoperto incarichi di responsabilità in diversi Ministeri, enti locali e gruppi parlamentari, sviluppando competenze avanzate in relazioni istituzionali, consulenza giuridica e coordinamento amministrativo. Laureata con lode in Giurisprudenza, ho arricchito la mia formazione con un master internazionale in diritto e un executive course alla Luiss School of Government.

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