back to top
HomeCultura e Formazione"PARTONO 'E BASTIMENTE"

“PARTONO ‘E BASTIMENTE”

“Santa Lucia luntana”, una celebre canzone napoletana scritta nel 1919 da E. A. Mario, parlava dell’emigrazione, del mal di patria e del desiderio di ritornare e aveva come refrain la frase “Partono ‘e bastimente“. Allora i ragazzi del Sud, tanti fra loro siciliani, partivano con una valigia di cartone in mano e la speranza di lavorare come manodopera per poi tornare a casa.

Oggi, un secolo dopo, la scena è cambiata: non più la valigia legata con lo spago, ma laptop, dottorati, master internazionali e curriculum impeccabili che aprono le porte a speranze di lavoro proporzionate alle qualificazioni acquisite.  Il refrain però è rimasto la stesso: bisogna partire. Con una differenza sostanziale – chi parte oggi difficilmente tornerà.

Questa riflessione prende spunto da un articolo di Alberto Mantovani, pubblicato su la Repubblica il 1° ottobre 2025, dal titolo “L’oro del terzo millennio è quello grigio dei cervelli. Non lasciamocelo sfuggire”. Mantovani osserva come il capitale umano – intelligenza, formazione, talento – sia la vera ricchezza del nostro tempo, più preziosa del petrolio o del gas. Ma mentre altre nazioni lo trattengono e lo coltivano, noi sembriamo regalarlo al miglior offerente. In Sicilia questa dinamica assume toni paradossali e perfino un po’ grotteschi: spendiamo miliardi di euro per formare i nostri giovani e poi li consegniamo, infiocchettati e pronti, a Germania, Regno Unito o Stati Uniti.

Secondo i dati ISTAT e SVIMEZ, ogni anno circa 40.000 laureati lasciano il Sud Italia, e più di 6.000 soltanto dalla Sicilia. Tra il 2010 e il 2020 l’isola ha perso oltre 150.000 under 35 qualificati. Non si tratta di “cervelli in fuga” episodici, ma di un esodo continuo e strutturale. È come se ogni anno una piccola città universitaria intera svanisse oltre lo Stretto. Il saldo migratorio intellettuale siciliano è oggi tra i più negativi d’Italia: chi parte è infinitamente di più di chi torna. Le partenze sono verso Milano e Torino, certo, ma sempre più verso Londra, Berlino, Parigi e Boston. La differenza? Chi parte per il Nord Italia, a volte, mantiene un legame e può rientrare. Chi prende un volo per Heathrow, Francoforte o Singapore, quasi mai.

Le cause sono note e, per chi vive sull’isola, persino banali. Opportunità scarse: il tessuto produttivo siciliano non innova, non assume e non dialoga con le università. Precarietà e burocrazia: bandi irregolari, carriere spezzate, contratti a termine. Formazione e lavoro che non si parlano: laureati in ingegneria, biotecnologie, informatica si ritrovano a fare i conti con un mercato incapace di valorizzarli. Investimenti privati ridicoli in ricerca e sviluppo: appena lo 0,3% del PIL regionale, contro il 2% medio europeo. Insomma: l’ascensore sociale è fermo al piano terra. E allora i giovani, giustamente, scelgono di prendere scale mobili più solide e veloci, altrove.

Qui arriva la parte più ironica – se non fosse tragica. Formare un laureato in Italia costa allo Stato circa 37.500 euro, beninteso esclusi i costi aggiuntivi di master, dottorati, scuole di specializzazione. Ogni anno la Sicilia “regala” al resto del mondo circa 6.300 laureati. Fate due conti: sono 236 milioni di euro l’anno. Proiettati su vent’anni, significa quasi 5 miliardi. Un piano Marshall… al contrario. Non solo: la fuga impoverisce la struttura demografica. I comuni siciliani si svuotano, l’età media sale, i giovani diventano un miraggio. E quando mancano energie nuove, startup e idee fresche, l’economia resta impantanata nei soliti settori a bassa produttività. Insomma, non perdiamo solo persone: perdiamo futuro. Altro che gli Unicorni preconizzati da Mantovani, che esistono anche in Italia ma pascolano solo nelle brughiere del Nord!

Come avviene per molti settori in Sicilia, non esiste a livello regionale alcun piano organico per invertire questa tendenza. Niente programmi di rientro, niente incentivi seri, niente piani di raccordo tra università e imprese. Qualche bando spot, un po’ di assistenzialismo, tanta retorica. Ma nessuna strategia di lungo periodo. Altre nazioni hanno attuato programmi mirati di rientro dei cervelli – il Portogallo e l’Irlanda insegnano. La Sicilia, invece, continua a considerare i giovani formati come una voce di export: “siamo bravi a farli, ma poi li usano gli altri”.

Naturalmente si può fare diversamente. Ecco alcune misure concrete, che non sono fantascienza ma buone pratiche già sperimentate altrove: istituire un fondo regionale permanente per la ricerca e l’innovazione, con bandi regolari e meritocratici; creare parchi tecnologici collegati alle università, incubatori di startup in settori strategici come energia verde, biotecnologie, agroalimentare innovativo, intelligenza artificiale; avviare programmi di rientro con incentivi fiscali e borse per chi torna dopo esperienze all’estero; stipulare accordi con imprese estere per aprire hub di ricerca in Sicilia, con assunzioni garantite ai laureati locali; finanziare dottorati industriali cofinanziati tra università e imprese; introdurre stage e tirocini retribuiti che non siano sfruttamento ma opportunità reale; aprire uno sportello unico per l’innovazione che tagli la burocrazia asfissiante; pubblicare un rapporto annuale sulla mobilità intellettuale, per sapere finalmente quanti partono, quanti tornano, quanti si perdono per strada.

“Partono ‘e bastimente”, un tempo per sopravvivere e aiutare la propria famiglia, oggi con un dottorato sotto il braccio per realizzare i propri sogni. Il risultato, però, è lo stesso: partenze definitive, famiglie divise, territorio impoverito, assenza di prospettive di sviluppo. La differenza è che oggi non possiamo più permetterci di dire che “va bene così”. Ogni ragazzo che parte porta con sé non solo un sogno personale, ma anni di investimenti collettivi. E ogni mancato ritorno è una sconfitta della politica, prima ancora che della società. Se non invertiamo la rotta, la Sicilia resterà una terra bellissima ma sempre più vuota: un museo a cielo aperto per turisti, mentre i suoi figli migliori costruiscono il futuro altrove.

post

Già professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Palermo e Direttore dell’UOC di Gastroenterologia del’AOUP “P. Giaccone”

Correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

I più letti

spot_img

Ultimi Commenti

Fabrizio Micari SU HA FALLITO, PRESIDENTE
Damiano Frittitta SU HA FALLITO, PRESIDENTE
Giandomenico Lo Pizzo SU HA FALLITO, PRESIDENTE